
Dott.ssa Annalisa Marino
Medico Immunologo e Reumatologo presso Fondazione Campus Biomedico di Roma
Ricercatrice universitaria presso Università Campus Biomedico di Roma
Dopo anni di attesa, arriva il riconoscimento ufficiale: è stato siglato l’accordo tra Stato e Regioni per l’inserimento della sindrome fibromialgica tra le patologie croniche e invalidanti riconosciute nei nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). Il Ministero della Salute ha presentato un doppio DPCM che introduce decine di nuove prestazioni sanitarie. Tra queste, all’articolo 5 “Esenzione per malattie croniche e invalidanti”, troviamo finalmente anche la fibromialgia, codice 068, seppur “limitatamente alle forme molto severe (FIQR > 82)”.
La durata minima dell’attestato di esenzione sarà di due anni.
Un passo atteso da otto lunghi anni, che rappresenta molto più di una norma amministrativa: è un atto di giustizia verso migliaia di persone che convivono ogni giorno con un dolore reale ma invisibile.
La fibromialgia è una malattia cronico-dolorosa, che appartiene al grande gruppo delle sindromi dolorose generalizzate. Si tratta di una malattia caratterizzata dalla riduzione della soglia dolorosa (iperalgesia) e dall’evocazione dolorosa per stimoli che normalmente dovrebbero essere innocui (allodinia). Il dolore muscolo-scheletrico diffuso non è l’unico sintomo presente in questi pazienti: molto spesso è accompagnato da stanchezza, disturbi dell’umore, disturbi del sonno, impedimenti funzionali nelle attività di vita quotidiana e disfunzioni cognitive, in particolare disturbi della memoria.
Significa che ciò che per la maggior parte delle persone non è doloroso — un tocco, un abbraccio, una piccola tensione muscolare — può essere percepito come sofferenza intensa.
Non è una malattia “psicologica”, né tantomeno immaginaria: è il risultato di un malfunzionamento dei circuiti del dolore nel sistema nervoso centrale, che amplificano ogni segnale.
Si tratta quindi di una condizione complessa, che coinvolge corpo, mente ed emozioni, e che spesso viene diagnosticata con grande ritardo.
La fibromialgia interessa circa l’1-2% della popolazione, ma secondo alcuni studi può arrivare fino al 10%.
Colpisce soprattutto le donne tra i 20 e i 55 anni, ma può comparire anche in età più avanzata.
Molti pazienti raccontano di aver vissuto anni di visite, esami, e diagnosi sbagliate, con un lungo peregrinare prima di ottenere un nome per la loro sofferenza.
Il dolore cronico, il senso di incomprensione e la stanchezza costante possono portare a isolamento sociale, frustrazione e perdita di fiducia nella possibilità di stare meglio.
Per questo, il riconoscimento ufficiale nei LEA non è solo burocratico, ma umano e simbolico: sancisce che la fibromialgia esiste e merita attenzione, cura e rispetto.
Le cause della fibromialgia non sono ancora completamente note, ma si riconosce un insieme di fattori biologici, psicologici e ambientali.
Eventi stressanti, traumi fisici, infezioni, malattie croniche e predisposizioni genetiche possono contribuire a scatenare la sindrome.
Alla base vi è una condizione detta “sensibilizzazione centrale”; nella fibromialgia infatti si ha una ridotta soglia del dolore in tutte le aree del corpo, indipendentemente dal sito di maggiore dolore. Il cervello diventa ipersensibile e il sistema nervoso resta in uno stato di allerta costante, come se la funzione “dolore” non riuscisse più a spegnersi.
La diagnosi è clinica, basata sulla storia e sui segni e sintomi riferiti dal paziente, nonché dall’esame obiettivo reumatologico.
Gli esami di laboratorio e tutti gli esami di imaging prescritti risultano solitamente normali: ecco perché per anni la fibromialgia è stata sottovalutata o confusa con disturbi psicosomatici.
Negli ultimi decenni, tuttavia, i criteri diagnostici si sono evoluti: dai classici “tender points” palpabili, ovvero punti evocati all’esame obiettivo in cui si ha una reazione dolorosa, si è passati a un approccio più globale, che considera anche la stanchezza, i disturbi cognitivi e del sonno, e l’impatto sulla vita quotidiana.
Per quanto riguarda i trattamenti, ad oggi, non esiste una terapia approvata per la fibromialgia. Non esiste purtroppo un rimedio che “guarisca” la fibromialgia, ma esistono molte strategie efficaci per controllare i sintomi e migliorare la qualità di vita.

L’approccio migliore è multidisciplinare, integrando trattamenti non farmacologici e farmacologici.
Cosa può aiutare allora davvero chi ne è affetto?
Sicuramente l’esercizio fisico dolce e regolare, meglio se leggermente aerobico, di stretching o allungamento muscolare, o ancora fatto in acqua, per minimizzare l’impatto della forza di gravità sulle articolazioni.
All’inizio può sembrare difficile, ma aiuta a ridurre il dolore nel lungo termine e migliora il tono dell’umore.
L’ educazione del paziente riveste poi un ruolo non secondario; infatti, conoscere la malattia permette di gestirla meglio e riduce la paura e i timori giustamente connessi a una patologia cronica.
Alle terapie fisiche e funzionali, trova evidenza l’associazione con una terapia cognitivo-comportamentale o con protocolli di Mindfulness, che insegnano a interpretare il dolore e ad adeguarlo al momento presente, riducendo lo stress. Saper essere nel qui e ora e conoscere tecniche di respirazione e body scanner.
I farmaci ovviamente trovano spazio ed efficacia in questo complesso equilibrio. Ad oggi non vi sono farmaci approvati per la fibromialgia, ma riusciamo a “prendere in prestito” farmaci da altre discipline, molecole che sono state approvate inizialmente per condizioni diverse e che a dosaggi e posologie diverse, trovano applicazione nella fibromialgia. Tra quest’ultimi troviamo farmaci specifici, come alcuni antidepressivi (duloxetina, amitriptilina), utilizzati a dosaggi diversi da quelli per cui vengono normalmente prescritti come tali, anticonvulsivanti (pregabalin, gabapentin) o miorilassanti, che possono ridurre l’intensità del dolore, migliorare l’ipertono muscolare e aiutare il sonno.

Ogni terapia deve essere ovviamente personalizzata, con attenzione alla tolleranza individuale e alla presenza di altri disturbi.
Il riconoscimento della fibromialgia tra le malattie croniche e invalidanti nei nuovi LEA è una conquista importante, ma anche un punto di partenza.
Significa garantire diritti, accesso alle cure, sostegno psicologico e percorsi assistenziali dedicati.
Significa anche restituire dignità a un dolore invisibile, che troppo a lungo è stato frainteso o minimizzato. “Non c’è niente di più reale del dolore che non si vede. E oggi, finalmente, anche le istituzioni lo riconoscono.”
Che questo possa essere un trampolino di lancio verso una maggiore consapevolezza, verso cure finalmente personalizzate, per tutti quei pazienti che si sono sentiti soli, incompresi, non ascoltati. Per quanti li hanno considerati visionari o depressi, che possa rappresentare una svolta nel riconoscere ciò che è e richiede cura.
